INSIEME SENZA FRONTIERE – Racconto #1

9 giugno 2017

Abbiamo chiesto a chi c’era di raccontare Insieme Senza Frontiere attraverso i propri occhi.
Ecco lo sguardo di Mario dei Briganti di Librino (e grazie!)

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GIOCARE IN CASA
Credo che l’accoglienza sia uno di quei valori che ci tramandiamo da tempi antichi in Sicilia e allo stesso modo la nostra è una terra di partenze. Così mi sono trovato in alcune occasioni ad essere colui che accoglie ed in altre colui che viene accolto, che in italiano -guarda un po’- si dice con la stessa parola: ospite.

Il San Teodoro è un luogo che ospita per sua natura e che ospita prima di tutto gli avversari. Hanno uno spogliatoio tutto per loro, gli avversari: c’è lo spogliatoio dell’arbitro (in gergo, del Signollàrbitro) ed a seconda della partita i Briganti o le Brigantesse fanno spazio e liberano lo spogliatoio che usano di solito per la squadra ospite ed è regola del Santeodoro di far trovare lo spogliatoio agli ospiti ed all’arbitro puliti e di offrire loro il piatto per primi al terzo tempo.

Il Santeodoro è di chi lo vive. Anche solo per un pomeriggio. Chi lo vive ne legittima l’esistenza ed il ruolo. Coinvolgere ed ospitare tante attività è l’alternativa all’abbandono per cui quel luogo stava morendo. Le attività tante, continue, divertenti di “insieme senza frontiere” sono state un’esperienza che non sarei sincero se dicessi che è nuova.
A vederla da ospite che accoglie c’erano volontari che si smazzavano e ragazzini che davano una mano, qualche birra e molti caffè, spettacoli e laboratori e balli. Che non pare straordinario finché non si scende nel dettaglio di chi sono quei ragazzini, quei baristi, quel pubblico, quei volontari…
Il vero valore della festa l’ho capito guardando con quale commozione i ragazzi migranti venuti da Modena osservavano il coro della scuola che cantava una marcetta. Ho immaginato di essere l’ospite che viene accolto. Come dicevo, mi è capitato di essere accolto; come buon amico di solito o come portavoce ed in ogni caso atteso e messo molto molto comodo. Ho immaginato di fare uno di questi viaggi ma senza comodità. Non dico attraversando il deserto e poi il mare e poi tutti i drammi ai quali penso che non sarei mai sopravvissuto. Sono arrivato al massimo ad immaginare un viaggio Schengen in cui mi scordo portafogli, caricabatterie del telefonino e non ho nessuno che mi aspetta. Ecco, se a queste condizioni finissi in un posto com’è stato il Santeodoro in quei giorni, credo che mi sarei sentito tranquillo. C’è una festa, c’è gente che cuce vestiti strani, c’è un ragazzino che si mette a giocare a dama e mi fa giocare anche se non parliamo una parola della stessa lingua, la sera c’è musica fino a tardi e dall’alba alla notte c’è uno al bancone che fa spremute d’arancia e the alla menta. Una mattina ci sono dei bambini che cantano e hanno le magliette bianche con disegnato l’arcobaleno che io non capisco una parola di cosa cantano, ma insomma:
Sono bambini.
Con l’arcobaleno.
Non possono farmi del male.